Il nuovo sito che riguarda uno dei monumenti altomedioevali pù affascinanti della pianura a sud di Torino, non poteva che iniziare con una domanda: cos’è una pieve? Chi si presenta di fronte al grande edificio religioso che sorge nel cimitero di Piobesi Torinese legge sulle targette questo nome che un tempo era ben noto a chi frequentava la chiesa e che oggi è per lo più relegato nella memoria degli studiosi. Iniziamo per gradi.

Derivato dal latino plebs (popolo), il termine ha tre significati correlati: una comunità di battezzati, un edificio di culto provvisto di fonte battesimale, il distretto di pertinenza questa chiesa. E a Piobesi tutte e tre le evenienze sono soddisfatte. Durante l’evangelizzazione fra tarda antichità e alto medioevo (ancora si discute su chi abbia per primo portato il Vangelo nelle nostre terre), si svilupparono comunità di credenti periferiche alle cattedrali urbane, che avevano come punto focale le chiese battesimali sparse nelle campagne. Queste ebbero in genere il nome di parrocchie, ma in Italia centrosettentrionale e in Corsica furono chiamate pievi. Il limite meridionale della loro presenza, già ritenuto corrispondente all’asse Viterbo-Chieti, è stato spostato dalla ricerca contemporanea fino a comprendere anche l’area salernitana e beneventana. Il resto d’Italia meridionale e insulare non conobbe invece questa forma di organizzazione del territorio.

Le prime pievi sono documentate in Toscana alla fine del VII secolo e si diffondono in tutta l’Italia centrosettentrionale nel corso dei tre secoli seguenti, costituendo i cardini, specialmente con le riforme carolinge, di un articolato sistema di gestione e controllo del territorio rurale. Differentemente dalle numerose chiese e cappelle fondate da privati, la pieve era una chiesa pubblica, sottoposta per diritto canonico direttamente al vescovo e affidata a un collegio di chierici retto da un arciprete o pievano. Essa aveva una propria circoscrizione ricavata all’interno della diocesi, entro la quale esercitava le prerogative di chiesa matrice (chiesa madre) ove la popolazione doveva recarsi per ricevervi il battesimo, corrispondere le decime e le primizie e accorrere in occasione delle festività maggiori. All’interno del distretto plebano (detto anche piviere o pievania), le cappelle, gli oratori e gli altri edifici di culto (qualora non fossero stati resi esenti) dipendevano dalla pieve e dal suo clero e non godevano dei diritti parrocchiali. Esistevano anche esempi di pievi cittadine, con funzioni di matrice, distinte rispetto a quelle della cattedrale, come, ad esempio, ad Arezzo (pieve Santa Maria Assunta).

Absidi della pieve San Giovanni Battista in Piobesi Torinese

Questa organizzazione fu attiva per tutto l’Alto Medioevo, fino al secolo XI compreso e in qualche territorio anche dopo, come chiesa matrice dei sistemi abitativi e gestionali delle curtes (in area franco-longobarda; e qui a Piobesi la prima pieve fu probabilmente una fondazione longobarda; ma ne parleremo in un prossimo articolo) e dei fundi (in area bizantina), nei quali le grandi proprietà fondiarie – dopo il dissolvimento del latifondo tardoimperiale romano – erano quasi completamente scomparse e la principale forma di insediamento nelle campagne era l’abitato sparso. La pieve agiva come centro di raccordo e di spiritualità per una popolazione che, dispersa in villaggi e case isolate (i cosiddetti pagi), vi confluiva per ricevere il battesimo (cura animarum o cura delle anime): per questa ragione, l’edificio sacro si trovava spesso lungo una importante via di comunicazione, o sulle sponde di un fiume, o nel fondovalle. A Piobesi, la pieve fu eretta attorno al VI-VII secolo presso una importante via di comunicazione (ancora in parte presente) che da Augusta Taurinorum (Torino) recava nella Tarda Antichità a Calpice, poi sede di una importante abbazia nel XI secolo, quindi a Vicus Novus (Vinovo) attraversando il fiume Nonum (Chisola) e infine a Forum Vibii (Caburrum o Cavour), antico insediamento romano dove il vesco Landolfo, nel 1037 fece erigere un’altra grande abbazia intitolata a Santa Maria.

cripta abbazia Santa Maria di Cavour (foto tratta da http://archeocarta.org/cavour-to-abbazia-santa-maria/)

Il sistema plebano entrò in crisi nel corso del secolo XI, quando la formazione delle signorie territoriali di banno e l’incastellamento sempre più diffuso mutarono profondamente i sistemi abitativi, che divennero sempre più accentrati. Dall’inizio del XII secolo le chiese castrali (legate cioè a un castrum o blocca difensivo costituito da torre, casaforte, mura di contenimento in legno o mattoni, fossati), a volte sostenute dal signore del luogo, presero a rivendicare con sempre maggior determinazione alcuni diritti parrocchiali (messa pubblica festiva, penitenza privata, decime, cimitero e diritti di sepoltura), dando vita a conflitti molto accesi con i collegi dei chierici della pieve. Nel Nord Italia, tale fenomeno comportò spesso la nascita di parrocchie come elemento intermedio tra la sede cattedrale e la pieve. Quest’ultima non fu peraltro esautorata, continuando invece a mantenere la funzione di chiesa battesimale e di centro di raccordo, ora non più di cappelle, ma di parrocchie. Questo fenomeno è attestato a Piobesi, dove nel XIV secolo dalla pieve dipendevano le parrocchiali di Cercenasco e di Vinovo. Il sistema fu reso ancora più complicato quando i Comuni cittadini, nella fase di conquista del contado operata spesso ai danni del vescovo e dei signori rurali, riconobbero l’autorità del sistema pievano come supporto all’espansione comunale: questo accadde soprattutto in Toscana e in molte parti della Pianura Padana, ma non a Piobesi, dove il nuovo agglomerato urbano dipese sempre dal vescovo di Torino. La crisi, dovuta alle nuove forme di insediamento (borghi franchi e “ville nove”), ai nuovi indirizzi del Pontificato – che insistevano sulla necessità di un frequente accesso ai sacramenti (specialmente dopo il Concilio Lateranense IV del 1215, che impose l’obbligo della confessione annuale e della Comunione pasquale) – e soprattutto alle nuove forme di devozione popolare, indirizzata verso altri luoghi di culto, come i santuari, portarono in breve al tramonto del sistema delle pievi. Durante i secoli XIII e XIV il sistema per parrocchie – detentrici di tutti i diritti legati alla cura d’anime e provviste di un clero stabile e residente – si andò sostituendo un po’ dovunque.

Pieve San giovanni Battista di Piobesi Torinese, interno (vista dall’altare)

Fonti e Bibl. essenziale

Le istituzioni ecclesiastiche della «Societas Christiana» dei secoli XII-XIII. Diocesi, pievi, parrocchie, Atti della Sesta settimana internazionale di studio, Milano 1-7 settembre 1974, Vita e Pensiero, Milano 1977; A. Castagnetti, L’organizzazione del territorio rurale nel medioevo: circoscrizioni ecclesiastiche e civili nella Langobardia e nella Romania, Patron, Bologna 1979 Pievi e parrocchie in Italia nel basso medioevo (sec. XIII-XV), Atti del VI Convegno di storia della Chiesa in Italia, Firenze 21-25 settembre 1981, Herder, Roma 1984; R. Salvarani, Pievi del Nord italia. Nella rete del Signore, in Medioevo, vol. 8, agosto 2011, pp. 92-103

COS’E’ UNA PIEVE: piccolo glossario

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