Da tempo gli storici dell’arte dibattono sulla datazione degli affreschi dell’abside centrale della pieve San giovanni ai Campi di Piobesi Torinese. Gli stessi storici sono indecisi se riferirli all’età ottoniana – quindi al X secolo, quando l’arte bizantina portata da Teofano, nipote dell’imperatore, portò in Europa l’esperienza orientale dopo il matrimonio con Ottone II imperatore del Sacro Romano impero – oppure postdatarli all’XI o addiruttura al XII secolo. In effetti nel monumentale affresco di Piobesi convivono elementi tipici dell’arte ottoniana, in qualche modo però aggiornate alle nuove esperienze dell’area germanica. Esempi precoci di Maiestas Domini, associati alla Deesis bizantina (dove la Vergine Maria e San Giovanni il Battezzatore supplicano Cristo di intercedere presso gli uomini) possiamo ammirarli a Grosso Canavese (cappella San Ferreolo), a Borgone di Susa (cappella San Valeriano), a San Mauro Torinese (chiesa ex monastica Santa Maria di Pulcherada) e al castello di Les Allinges (abside della cappella palatina), sulla strada per la Francia.
All’iconografia di area tedesca e nord europea fa riferimento il grande Cristo in mandorla, attorniato dai simboli degli Evangelisti, così come la presenza del Sole e della Luna ai lati della Maiestas; anche il doppio arcobaleno su cui si poggia la imponente figura di Cristo e i suoi piedi è confrontabile con alcune miniature in evangeliari tedeschi dell’XI secolo. La Deesis invece fa riferimento alla liturgia costantinopolitana. All’arte bizantina è associabile la lunga teoria degli Apostoli, dipinti sopra il velario (questo ormai scomparso).
In accordo con lo storico locale Rinaldo Merlone rifiuto anch’io l’attrubuzione della pieve all’attività edilizia del vescovo di Torino Landolfo, se dobbiamo prestar fede ai rescritti ottoniani che citano Piobes già nel tardo X secolo. La storica Costanza Segre Montel già nel 1994 avanzava l’ipotesi che la decorazione pittorica non fosse coeva all’erezione della pieve, che lei riferiva all’età landolfiana, perchè “si sovrappone alla parziale tamponatura delle monofore dell’abside. Gli affreschi, già messi in rapporto da Noemi Gabrielli col ciclo di Oberzell e l’oreficeria tardo-ottoniana e datati alla seconda metà dell’XI secolo, non trovano in realtà precisi termini di confronto. Il modulo allungato e l’ipostazione un po’ rigida delle figure rimandano genericamente a modelli ottoniani, ma gli apostoli, collocati sotto strette arcatelle, non compiaiono nelle absidi prima del XII secolo. Sia gli apostoli, col volto solcato da sottili lumeggiature, sia la figura monumentale di Cristo, seduto sull’arcobaleno e con l’agnello in grembo (di nuovo motivo raro, già ottoniano, presente anche a Civate) si leggono meglio nelle vecchie fotografie, che lasciano ancora scorgere eleganti e raffinati giochi di pieghe nelle vesti e nei mantelli: finezze ormai difficili da cogliere, viste le cattive condizioni degli affreschi, staccati in parte negli anni settanta” (da “Piemonte romanico; 1994).
Se dovessimo attribuire le pitture alla seconda metà dell’XI secolo, le pitture di Piobesi rappresenterebbero un esempio importante di sopravvivenza della pittura ottoniana, in piena linea con altre raffigurazioni importanti presenti in Italia e in Europa. Certo che un restauro aiuterebbe a chiarire molti dubbi, soprattutto se si mettesse mano agli affreschi dell’arco trionfale, estremamente danneggiati e ormai quasi illeggibili. Speriamo in tempi buoni.
Nel prossimo articolo, leggeremo l’affresco dell’abside, aiutandoci con l’Apocalisse attribuita a San Giovanni.
Paolo Castagno.